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martedì 25 giugno 2013

Lettera a Gentile sull'esame di stato

Caro Giovanni Gentile,
onestamente mi è sempre dispiaciuto per il tuo assassinio, anche se - bisogna pur dirlo - con la tua adesione alla schifosa RSI andavi cercandotela (come avrebbe poi detto un grande politico italiano molto meno idealista di te).
La tua riforma non era così male come dicono: dava al docente la massima libertà (subito compressa dal tuo successore cattolico, Alessandro Casati).
Tuttavia c'è una cosa per la quale davvero ti disprezzo: ed è l'avere introdotto l'ESAME DI STATO, per permettere alle scuole cattoliche di ottenere un titolo di studio legale.
Per questa tua acquiescenza alla Chiesa, ancora oggi (a settant'anni dalla tua morte) noi siamo qui a recitare una farsa assurda, mentre tutto intorno l'Italia vibra e crolla.
Ecco, siccome eri un uomo tutto sommato intelligente, mi piacerebbe parlarne con te, nel 2013.

Ciao.

PS: comunque nel programma di filosofia quest'anno non ho potuto inserire l'attualismo, mi spiace. Avrei voluto, ma è stato un anno strano che non sto a raccontarti. Sarà per l'anno prossimo.

Appunti su Lacan (e Badiou e Deleuze)

(24 giugno)

Il linguaggio ci fa parlare con quella materia che siamo, in quanto soggetti, non è difficile capirlo.

[5 luglio: secondo Badiou il "materialismo democratico" afferma che "non esiste altro all'infuori dei corpi e dei linguaggi"]

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(26 giugno)

La disidentificazione perseguita nell'analisi lacaniana: è molto deleuziana.

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Non ho mai preso sul serio l'Altro lacaniano. Per un attimo invece sono riuscito a capire che cosa sia in gioco.
Corretto dire che sia lo stesso di ciò che Deleuze e Foucault chiamano Fuori? Fuori indica linguisticamente qualcosa di inanimato, Altro allude a un vivente, per quanto non-vivente.

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Enfasi lacaniana sulla seconda morte: necessaria? Perché non pensarla come neutralizzazione di altro tipo (zen)? Inevitabilmente il significato di "morte" è immediatamente più significativo.

PS: è la depressione che mi ha (ri)condotto a Lacan, a partire da un libretto che avevo quasi scagliato via con furore: L'ombra della vita, di Franco Lolli. Vi si parla di depressione come "viltà etica", in un senso che allora avevo banalizzato, ma che ora riesco a tollerare e interpretare seriamente.

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(3 luglio)

Davvero ci ho impiegato anni per capire che il Nom du Père è il cognome? Possibile che non me ne fossi mai accorto prima? Eppure il francese lo conosco, e so benissimo che "nom" significa cognome.
Forse non mi interessava la questione? Da quando lessi l'Antiedipo nel 1995 abbandonai ogni tentativo di capire Lacan. Oppure avevo rimosso la questione.
In ogni caso questa storia del nome-del-padre mi sembra una fesseria.

Altra cosa ben poco convincente: che il fallo sia il simbolo del simbolico, ossia del senso, e che il senso sia l'oscillazione tra senso e non-senso. Ma di che senso parla? Confonde "senso" nel senso logico-linguistico di Frege e "senso" nel senso di "meaning of life"?
La questione del "senso della vita" ha due sole soluzioni sensate: quella del Tractatus di Wittgenstein (tacerne) e quella dei Monty Python (riderne e farne ridere). A guardar bene, non sono due soluzioni incompatibili.

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(4 luglio)

Nella teoria di Lacan mi sembra mancare totalmente uno spazio per la narratività: tutto è strutturale, fisso, morto, estatico, mistico.
Il soggetto tra-le-due-morti, Edipo a Colono, lamella, è un non-soggetto, almeno nel senso in cui sembra desiderabile parlare di "soggetto". Allora perché mai bisogna protrarre la metafora del soggetto? Ne va della verità, direbbe un lacaniano. Ma questa "verità" di cui parlano i lacaniani non ha nulla a che vedere con la verità della tradizione filosofica: è una verità più vicina a quella qualitativa dell'ermeneutica, verità come senso.
Ma il senso è indicibile, Wittgenstein ha perfettamente ragione: esso mostra sé come il "che-è", la fattità delle cose. Se ne può parlare soltanto "componendo", ossia praticando una filosofia rapsodica à la Ludwig oppure l'arte (che - come dice Chomsky con sentenza perfettamente wittgensteiniana - ci dirà probabilmente sempre di più sulla natura umana [leggi "senso"] di quanto non farà mai la scienza).

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(6 luglio)

Questa fesseria del soggetto, ossia il senso, o la verità. Con i quattro tipi di soggetti e i relativi tipi di discorso: come se i discorsi potessero enumerarsi e catalogarsi, come se i giochi linguistici si potessero categorizzare in base alla loro struttura anziché osservare e comprendere secondo la loro forma-di-vita (confrontare Lyotard).
Anche qui contrapporre Wittgenstein: “il soggetto che pensa, immagina, non v'è. … (5.631). Il soggetto non appartiene al mondo ma è un limite del mondo (5.632)”.
Badiou è più logico di Lacan e rende il soggetto qualcosa di completamente irriducibile tanto all'individuo quanto alla comunità: soggetto è pura fedeltà procedurale a un evento/verità.

TUTTAVIA: l'ansia per la struttura (assente, diceva Eco) è nobile, è pulsione ad articolare la comprensione. Specialmente la comprensione della verità (del senso).
Perché la scienza può rispondere meglio a quest'ansia? Perché si fonda su un concetto operativo di verità (questo, Badiou lo sa benissimo mentre Lacan non vuole prenderne atto. Nemmeno Deleuze, in fondo).

[Essere e soggetto: a me pare (è sempre parso) questo il Due su cui incentrare l'attività filosofica.
L'essere che appare attraverso i dispositivi matematici della scienza, e il soggetto che si sveglia quotidianamente al mattino, con un sacco di da farsi.]

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(8 luglio)

Guarda caso, L'Oeuvre claire di Jean Claude Milner termina proprio col confronto di Lacan con Wittgenstein... Ma da come presenta il succo del Tractatus secondo lui ho il dubbio che non ne abbia capito molto.
Dice che per W il senso si mostrerebbe in "tableaux". E mi sovviene che Klossowsky fu il primo traduttore francese del Tractatus, e che sbagliò della grossa a rendere Bild (= "immagine logica") con "tableau".
Vuoi vedere che Milner, che pure è uno intelligente, è rimasto alla vecchia traduzione e non ha mai capito l'errore?
(Ossia: il senso si mostra in qualunque forma di espressione adeguata, a partire dal linguaggio comune, in maniera esemplare).

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(11 luglio)

Invece nelle pagine successive Milner cita la traduzione di Granger, dunque non so spiegare la sua confusione a proposito dei "tableaux".
Le tavole di verità mostrano la verità, appunto, delle proposizioni elementari e complesse. Ma la verità non è il senso. Ciò che dice Milner è semplicemente una confusione, molto lacaniana, tra senso e verità (forse anche gli ermeneuti cascano in una simile confusione).
Una proposizione può avere senso ed essere falsa.
Le tavole di verità non mostrano il senso, che invece si mostra nell'essere stesso degli enti - per usare un concetto non wittgensteiniano - e nel linguaggio sensato (proposizioni empiriche e scientifiche).


Bibliografia ripassata per la bisogna:

Milner, J.-C.,  L'oeuvre claire, Seuil
Tarizzo,D., Introduzione a Lacan, Laterza