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venerdì 4 giugno 2010

Come Hrundi Bakshi al cesso

Vi ricordate Hrundi Bakshi (Peter Sellers) in quella memorabile scena di The party (Hollywood party), che è il mio film-feticcio? Hrundi va nel bagno della villa e inizia a fare un casino dopo l'altro: gli cade il quadro nel cesso e lo asciuga con la cartaigienica, ma il rotolo inizia a scorrere e non si ferma più e lui guarda in perfetta immobilità indiana il cumulo di carta che si sta formando... Poi mette tutta la carta nel cesso e tira l'acqua, lo sciacquone non si arresta e l'acqua inizia a tracimare dal cesso allagando tutto il bagno, dal quale alla fine Hrundi fuggirà per non essere scoperto dalla cameriera. (Esce dalla finestra, si arrampica sui tetti, scivola e cade epicamente nella piscina).

E da qualche parte Derrida dice di sentirsi talvolta come quei nevrotici ossessivi che si lavano le mani di continuo, solo che lui ha l'impressione di sporcarsele ancor di più, lavandosele.

Quando sto male, io mi sento come Hrundi Bakshi al cesso, tocche le cose e cadono per terra, non cooordino i movimenti, ogni gesto mi sembra difficile, ci sono attimi in cui la catastrofe mi sembra a portata di mano e attendo che il mondo mi crolli addosso tutto assieme.

La sindrome di Stendhal e la professoressa di fisica

Fino al penultimo anno di liceo ero molto bravo in matematica e fisica, ero intuitivo e lavoravo con facilità e soddisfazione. Sentivo che la mia mente mi portava da quella parte e avevo l’intenzione di iscrivermi al corso di laurea in fisica o matematica.
Poi arrivò una professoressa giovane e carina, di cui nemmeno ricordo il nome, e tutto cambiò. La prof era una ragazza alta, carina e molto affettuosa con me, e l’agio con cui ci spiegava fisica e matematica mi conquistò in tempi brevissimi.
Gradualmente la matematica e la fisica persero quella fredda esattezza che prima le contraddistingueva ai miei occhi: non più perfette porte e finestre sull’essere, ora erano incorniciate dalla femminile presenza di lei. Dietro alle equazioni c’era ora la mia speranza di risolverle bene, per lei, e la mia paura di sbagliarle e di apparire ai suoi occhi uno qualsiasi, come i miei compagni, magari volenteroso ma incapace.
Quasi non conservo memoria di nulla di tutto ciò, ma so che è successo davvero, anche se forse nessuno oltre a me potrebbe testimoniarlo.
[continua]